di Davide Pirillo
Nel mondo globalizzato di oggi, i due modelli economici che hanno dominato il secolo scorso – il liberal-capitalismo e il marxismo collettivista – mostrano le loro crepe profonde.
Il primo ha dissolto le comunità e generato una società di individui isolati, consumatori senza radici.
Il secondo, laddove è stato applicato, ha soffocato la libertà e distrutto la creatività sociale in nome di un egualitarismo astratto.
Oggi, l’Italia e l’Europa hanno bisogno di una nuova sintesi, una terza via sociale che recuperi i principi di responsabilità, partecipazione e solidarietà senza rinunciare alla libertà.
Questa sintesi potrebbe trovare forma in una rinascita del principio corporativo, reinterpretato in chiave moderna e partecipativa.
L’economia come comunità: oltre il mercato e lo Stato
Il mercato da solo non crea giustizia; lo Stato da solo non crea prosperità.
Entrambi, quando agiscono senza limiti, finiscono per ridurre l’uomo a strumento: nel capitalismo a consumatore, nel collettivismo a ingranaggio.
Il principio corporativo parte da un’idea opposta: l’economia non è un campo di battaglia, ma una comunità di funzioni, organica.
In questa prospettiva, l’impresa non è solo proprietà privata né organo dello Stato, ma istituzione sociale.
Chi vi lavora, chi investe e chi ne beneficia devono tutti partecipare, in proporzione, alla sua gestione e ai suoi risultati.
Non si tratta di abolire la proprietà, ma di socializzarla: renderla responsabile verso la comunità che la sostiene.
La socializzazione delle imprese nel futuro nazionale
Nel modello corporativo
contemporaneo, l’impresa diventa un soggetto sociale oltre che economico.
Ogni azienda di dimensioni rilevanti potrebbe essere tenuta a includere nel proprio consiglio di amministrazione rappresentanti dei lavoratori, dei territori, o delle comunità di riferimento.
Gli utili non sarebbero solo profitto da distribuire agli azionisti, ma valore sociale da reinvestire in formazione, innovazione, welfare aziendale, ambientale e partecipazione economica dei lavoratori.
Questo modello non è utopia: in parte è già realtà in paesi come la Germania, dove la Mitbestimmung (cogestione) garantisce ai lavoratori un ruolo decisionale.
Ma in Italia, dove la cultura comunitaria e la solidarietà territoriale sono radici storiche profonde, questa visione può assumere un senso ancora più ampio: diventare un pilastro identitario del nostro modo di intendere l’economia.
Lo Stato come garante e coordinatore
In uno Stato corporativo democratico, il ruolo dello Stato non è quello di “gestire” tutto, ma di ordinare e coordinare le forze produttive.
Non centralizzare, ma armonizzare.
Non sostituirsi al lavoro e all’impresa, ma guidarli verso obiettivi di interesse nazionale: occupazione, benessere, innovazione, coesione.
Ciò significa riformare le istituzioni rappresentative dell’economia: camere del lavoro, dell’impresa, delle professioni, del terzo settore — vere e proprie “corporazioni moderne”, autonome ma integrate nel processo decisionale pubblico.
Lo Stato, in questo quadro, non sarebbe un arbitro esterno, ma un custode dell’ordine sociale, garante di equilibrio tra libertà economica e giustizia comunitaria.
Una democrazia partecipativa e organica
Il principio corporativo non nega la democrazia, la rinnova, la renderebbe non partitocratica, con in sostituzione le camere delle corporazioni dove ad essere eletti sono i rappresentanti dei lavoratori e dei settori, categoria per categoria.
Alla democrazia numerica, fondata solo sul voto individuale e sugli interessi di partito la risposta può essere una democrazia funzionale, dove chi lavora, produce, crea valore partecipa direttamente alle decisioni che riguardano il suo settore.
Non più i partiti, ma corpi intermedi vivi: sindacati liberi, associazioni professionali, cooperative, camere produttive che dialogano e deliberano.
In questo modo, la rappresentanza torna a essere reale e concreta: non più delega passiva, ma partecipazione attiva.
L’obiettivo non è sostituire il Parlamento, ma integrarlo con un sistema di rappresentanza sociale, in cui le diverse componenti del lavoro e della produzione collaborano, non si combattono.
Principi della nuova economia sociale
Un moderno Stato corporativo si fonderebbe su alcuni pilastri chiari:
Lavoro come valore fondativo, non semplice merce di scambio.
Impresa come comunità, non come proprietà assoluta o ingranaggio statale.
Partecipazione dei lavoratori alle scelte e ai profitti.
Interesse nazionale come fine ultimo dell’attività economica.
Solidarietà verticale e orizzontale tra classi, territori e generazioni.
Sussidiarietà e responsabilità, contro ogni burocrazia sterile.
Perché oggi
Nel mondo globalizzato, la sovranità economica è la nuova frontiera della libertà.
Chi non controlla la propria economia, chi lascia che le proprie industrie, filiere e risorse dipendano da capitali anonimi e da logiche speculative, non è più uno Stato sovrano.
Il modello corporativo contemporaneo rappresenta una via per riconquistare la sovranità economica senza rinunciare alla libertà.
Non è nostalgia, ma una proposta di futuro: una società dove produzione, capitale e lavoro tornino a essere parti di un unico destino comune.
Conclusione: il futuro della giustizia sociale
La crisi del neoliberismo e l’esaurimento del collettivismo ci lasciano davanti a una scelta: continuare a galleggiare nel disordine globale, o costruire un nuovo ordine sociale fondato sulla collaborazione, la responsabilità e la dignità del lavoro.
Uno Stato corporativo del XXI secolo, democratico e partecipativo, può essere la forma politica di questa rinascita.
Non un ritorno al passato, ma una riconquista di senso: l’economia al servizio della comunità, la politica al servizio del popolo, lo Stato al servizio della giustizia.