sabato 25 ottobre 2025

Il regionalismo é il cancro della pubblica amministrazione, ritorno allo Stato centrale


STOP REGIONALISMO 

Con l'istituzione prima delle regioni a statuto speciale ed infine quelle a statuto ordinario nel 1970 si annunciava un decentramento virtuoso, un avvicinamento della politica al cittadino.
Così non é stato ed oggi il quadro disastroso sarà completato dalla .

Possiamo dire che è stato un disastro epocale per lo Stato centrale e per il buon uso del denaro pubblico. 
Le Regioni sono diventate il male peggiore dell’Italia dei servizi.

Vediamo perché:

1. Costi enormi e costanti
Le Regioni gestiscono una fetta considerevole della spesa pubblica. Secondo uno studio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, la quota di spesa pubblica delle Regioni era al picco nel 2007 circa al 22 % del totale, ed è scesa solo marginalmente fino al circa 18-19 % nel 2023. 
Nel 2023 lo Stato ha speso circa €852,2 miliardi, di cui €340,8 miliardi destinati alle Regioni (quasi il 40 %) — una cifra impressionante. Se queste risorse ogni anno fossero gestite in modo centralizzato, con snellimento, si avrebbe molto margine di risparmio e di efficienza.
(Università Cattolica del Sacro Cuore)

2. Burocrazia da record
E non è solo questione di spesa: la burocrazia che le Regioni generano è uno dei freni più pesanti all’economia. Uno studio della CGIA di Mestre stima che le imprese italiane sostengano costi per la gestione dei rapporti con la Pubblica Amministrazione — a livello regionale in gran parte — pari a €57,2 miliardi l’anno. 
Ad esempio:
bluetu.it
In Lombardia, il costo stimato per le imprese è circa €13,105 milioni. 
In Sicilia circa €2,932 milioni. 
E ancora: si legge che nei Comuni la burocrazia “pesa” per la gestione degli adempimenti ridondanti, specialmente nelle amministrazioni regionali di supporto. 
Questo non è progresso, è zavorra.

3. Personale pagato profumatamente, senza controllo
Nelle Regioni a statuto “molto speciale” si registrano compensi per il personale elevatissimi: la Ragioneria Generale dello Stato quantifica per la sola Sicilia, al 31 dicembre 2020, una spesa per il personale regionale pari a €666,7 milioni. 
Quanto al resto, si stima che la spesa delle Regioni in anni recenti per il personale continui a crescere. 
In buona sostanza: un’enorme macchina fatta di enti, uffici, figure dirigenziali regionali, che non dà contropartita in termini di efficienza reale.
QdS
(bancaditalia.it)

4. Disparità tra Regioni, disuguaglianze e sprechi
Le Regioni italiane non sono tutte uguali. In alcune zone i cittadini pagano molto, ricevono poco, e subiscono ancora una pesante frammentazione. Per esempio:
La spesa statale regionalizzata pro capite nel 2021 per la Valle d’Aosta era circa €18 400. 
(Istat +1)
Mentre in regioni del Mezzogiorno come la Campania, circa tra €10 500 e €11 300 pro capite. 
Pensate: lo Stato centrale deve trasferire enormi cifre in sistemi regionali diversi, con risultato spesso diseguale, inefficiente, e con servizi che in certe zone funzionano male.
(Istat)

5. Il regionalismo e lo Stato centrale: 
una relazione distorta
Il modello regionale avrebbe dovuto avvicinare la politica al cittadino. Ma l’effetto reale è stato quello di creare una moltiplicazione di livelli decisionali, di burocrazia, di enti intermediari che obbligano lo Stato centrale a “controllare” piuttosto che governare.
Un modello che avrebbe potuto essere utile se gestito con rigore, ma che nella realtà italiana si è trasformato in degenerazione: sovrapposizioni, duplicazioni, costi di struttura altissimi.
E quel che è peggio: lo Stato centrale, che dovrebbe guidare, spesso viene scaricato di responsabilità e deve supplire alle Regioni in crisi, con maggiore spesa, specialmente nelle emergenze (tema sanitario, infrastrutture, coesione).

6. Perché “smantellarle” è la via maestra
Se fossi chiamato a suggerire una riforma radicale, direi: cancellazione del modello regionale così com’è, restituzione della competenza ampia allo Stato centrale o almeno forte riduzione delle autonomie regionali. Prima del 1980, quando le Regioni esistevano ma non gestivano gran parte della spesa, lo Stato centrale aveva un ruolo più forte, una visione unitaria e – onestamente – meno dispersione.
Le ragioni:
Riduzione dei livelli burocratici: meno controlli incrociati, meno enti, taglio dei costi “Regione + ente locale + servizio sanitario regionale”.
Maggiore equità territoriale: lo Stato centrale assume la distribuzione delle risorse, evita che la sanità in una Regione sia migliore e in un’altra sia alla deriva.
Efficienza nella spesa: le risorse concentrate in un’unica catena decisionale possono essere allocate meglio, con minor spreco, con maggior trasparenza.
Responsabilità chiara: quando le Regioni gestiscono, la responsabilità è frammentata; lo Stato che governa ha un solo indirizzo, una sola visione, una sola responsabilità.

7. Qualche cifra per rimarcare
Le Regioni gestiscono ~190 miliardi di spesa primaria nel 2023 secondo l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Le imprese sostengono ~57,2 miliardi all’anno di costi legati alla burocrazia regionale. 
In alcune Regioni, per convegni e manifestazioni, spese notevolissime: per esempio, la Sicilia nel 2022 ha speso ~€12,943,999,51 solo per organizzazione e partecipazione a manifestazioni e convegni. 
L'Identità
In alcune regioni, spese per incarichi e consulenze: la Calabria nel 2021 ha speso ~€2,384,435,49 per incarichi liberi-professionali. 
(Unindustria)

8. la Regione come parassita
In definitiva
le Regioni – nate con buone intenzioni – sono diventate un vero e proprio parassita della macchina pubblica italiana. Moltiplicano costi, moltiplicano livelli, aumentano la burocrazia, generano inefficienze territoriali e gestionali, gravano sullo Stato centrale che ne finisce per farsi carico.
Se vogliamo un’Italia più snella, più efficiente, più giusta, è necessario tornare a un forte ruolo centrale dello Stato, ridurre drasticamente le autonomie regionali — non per smantellare il decentramento in senso astratto, ma per evitare che il decentramento significhi semplicemente “più enti, più costi, meno responsabilità”.
Il modello attuale delle Regioni è il male peggiore per l’Italia: serve inversione di marcia.

Costi e stipendi nei parlamenti regionali

Una delle principali voci di spreco deriva dagli “apparati” politici regionali — assemblee, consigli, giunte, presidenti — che costano molto e sono poco controllabili.
Secondo la legge n. 34/2012, per esempio, uno assessore regionale può percepire fino a €12.600 lordi al mese: circa €7.000 come indennità di carica + €1.500 indennità di funzione + circa €4.100 di spese di esercizio. 
(La Nazione)

Per un consigliere regionale, lo stipendio lordo può raggiungere €11.100 al mese (7.000 indennità di carica + 4.100 spese esercizio), e salire a ~€12.300 se ricopre incarichi particolari, presidente di gruppo, commissione.
(La Nazione)

In concreto, ad esempio al Consiglio Regionale della Calabria il rendiconto 2024 segnala un costo complessivo del personale e della macchina burocratica di oltre €24 milioni. 
(Corriere della Calabria)

Non dimentichiamo che lo studio “Cara politica, ma quanto ci costi?” stimava che la politica — includendo regioni, enti locali, parlamentari — costasse circa €2,5 miliardi/anno solo per gli emolumenti, rimborsi, pensioni ecc. 

Questi numeri suggeriscono che le regioni non sono solo “enti amministrativi”, ma veri e propri centri di elevato spreco, spesso con scarso ritorno in termini di efficienza e servizi.

Il settore sanitario regionale: spesa gigante, diseguaglianze e operatività inadeguata

Dal lato della sanità — che è la voce principale delle spese regionali — emergono ulteriori criticità.
Le regioni gestiscono circa il 70 % delle loro risorse (in media) proprio per la sanità. 
(Università Cattolica del Sacro Cuore)

Tra il 2021 e il 2023 la spesa sanitaria complessiva Regionale è passata da ~€139,9 miliardi a ~€152,9 miliardi. 
(Sanitask)

La spesa sanitaria pro-capite nel 2023 varia molto: regioni come la Trentino‑Alto Adige (€3.621,8) e la Valle d’Aosta (€3.502,9) sono ai vertici, mentre la Campania (€2.643,5) e la Calabria (€2.626,1) sono in fondo. 
(CREA Sanità)

La realtà è che, nonostante queste spese, solo 13 Regioni su 20 rispettano i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). 
(A.R.I.S.)

Inoltre, la spesa delle Regioni per servizi sanitari privati convenzionati ha superato i tetti previsti: ad esempio ~€13,1 miliardi nel 2023. 
(Fsi Nazionale)

E i disavanzi: nel 2024 il saldo negativo complessivo delle Regioni era di ~€1,5 miliardi prima delle coperture. 
(Nurse24.it)

Quindi: gestiscono enorme quantità di risorse, ma con risultati altalenanti, disparità tra regioni del Nord e del Sud, controlli deboli, e una burocrazia che si mangia parte delle risorse.

Perché questi dati rafforzano la critica al modello regionale

Se le regioni costano così tanto sotto il profilo politico-amministrativo (stipendi elevati, strutture complesse) senza garantire uniformemente servizi efficienti, allora il decentramento ha fallito la sua promessa di efficienza.
Se la sanità regionale diverge così tanto tra territori, lo Stato centrale perde la capacità di garantire equità e solidarietà nazionale: la “regione”  é un fardello per il popolo italiano.
Il fatto che grandi quantità di soldi vengano “spese” (o mal spese) a livello regionale e privata convenzionata suggerisce che la struttura regionale facilita i costi 

Le Regioni “speciali”: l’apoteosi dello spreco

Le Regioni a statuto speciale – Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia – dovevano rappresentare l’eccezione virtuosa.
Oggi, invece, sono il simbolo dell’ineguaglianza istituzionale.
Solo la Sicilia, al 31 dicembre 2020, ha speso oltre 666 milioni di euro per il personale regionale.
La Valle d’Aosta, con 120 mila abitanti, spende pro capite più dello Stato per ogni cittadino.
Sono privilegi che nessuno Stato moderno dovrebbe più tollerare.

Sono privilegi che nessuno Stato moderno dovrebbe più tollerare.

L’autonomia differenziata aggrava il caos e le disuguaglianze già prodotte dalle Regioni

Significa dare ancora più poteri e risorse a quelle regioni che già funzionano bene, lasciando indietro quelle che sono in difficoltà.
Il risultato sarebbe un’Italia a due (o tre) velocità: un Nord che decide tutto da sé, con più soldi e competenze, e un Sud che resta dipendente, con meno servizi e meno opportunità.
In pratica:
le regioni ricche tratterrebbero più gettito fiscale, riducendo le risorse disponibili per la solidarietà nazionale;
lo Stato centrale perderebbe il suo ruolo di garante dell’uguaglianza;
i servizi fondamentali (sanità, scuola, trasporti) diventerebbero ancora più disomogenei, con diritti diversi a seconda del CAP in cui si nasce;
e la burocrazia raddoppierebbe, perché ogni Regione avrebbe norme, contratti e procedure proprie.
In sintesi: l’autonomia differenziata non corregge il regionalismo, lo porta all’estremo, fino a spezzare definitivamente l’unità amministrativa e sociale del Paese.
È la prosecuzione del disastro con altri mezzi.

Per ultimo, ma non meno importante, ricordiamo come nel tempo dietro questi baracconi si sono annidati enormi interessi delle più svariate lobby regionali, poteri forti e politica clientelare; la cronaca ci ha insegnato che nel tempo la componente politica é stata facilmente infiltrate da appetiti masso-mafiosi.

LA SOLUZIONE É TORNARE ALLO STATO CENTRALE.
Una riforma urge!